I sandali. Soprattutto quelli che lasciano il piede nudo rasoterra, in città li avevo banditi.
Non li uso praticamente mai, da non ricordo quanto. Solo al rientro dalle vacanze, può capitare che continui a indossarli perché la città è meno antipatica se la sdrammatizzi con un inadatto abbigliamento da mare.
Così la mia silenziosa protesta contro la routine approfitta di una città semi deserta per materializzarsi nell’outfit che non oserei mai in circostanze diverse da una vacanza: canotta, pantaloncini e sandali rasoterra.
Ma stavolta quest’azzardo ha preso l’aspettò di una madleine di prustiana memoria.
Bene, mentre mi incammino in pieno giorno nel cuore del Vomero, distratta nei miei pensieri arruffati, confusi e un po’ nervosi, mi capita di inciampare in un bel topo stecchito sul marciapiede.
Non so se l’ho proprio toccato, se l’ho sfiorato o se era a vari centimetri perché nel tutt’uno dell’ accorgersi della sua presenza e l’incontenibile urgenza di chiamare il 118 per farmi fare varie analisi preventive e portare lontano da lì a sirene spiegate, la lucidità era già venuta meno da un po’.
Il 118 poi non l’ho chiamato e non so cosa mi abbia trattenuto dall’ urlare.
Mi guardo attorno cercando uno sguardo solidale a cui affidare il mio dramma, ma nulla.
La strada è deserta. E sotto al sole cocente di un mezzogiorno di pieno agosto non mi sembra neanche troppo strano.
Così all’improvviso mi vengono in mente gli stivali scamosciati rosa che usavo anche ad agosto da ragazza. Un accessorio estroso, che nei ricordi distorti associavo ad uno stile che non amava conformarsi, ma che era in realtà era sempre stata una sfida agli abitanti del sottosuolo con zampe e peli che d’estate hanno sempre amato dominare la movida urbana di questa città.
Così, d’improvviso, un topo morto in pieno giorno mi restituisce un’antica familiarità con me stessa, in una continuità in cui topi, blatte e disagi trovano il loro posto.
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